Il Risorgimento Italiano

GIUSEPPE MAZZINI

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e soprattutto nei RIASSUNTI DEI VARI PERIODI

Nato a Genova il 22 maggio del 1805 da Giacomo, professore universitario ex giacobino, e da Maria Drago, donna di alta sensibilità morale e religiosa, fu studente in legge nella sua città natale ma fin dall'adolescenza si mostrò più aperto agli interessi politici e letterari che non alla giurisprudenza: egli si riteneva un rivoluzionario diverso da molti altri in quanto concepiva la rivoluzione non come rivendicazione di diritti individuali non riconosciuti bensì come un dovere religioso da attuare in favore del popolo.

A tal fine aderì alla Carboneria, per la quale svolse incarichi vari di carattere organizzativo in Liguria e in Toscana. Inoltre collaborò all' Indicatore Genovese e all'Indicatore Livornese, due giornali che si professavano letterari ma che vennero presto soppressi dalla polizia sabauda e toscana, perché in essi la ragione letteraria non era che una copertura, peraltro poco nascosta, dell'intenzione politica. Di qualche interesse è il Saggio sopra alcune tendenze della letteratura europea nel secolo XIX, con il quale egli indirizzava il romanticismo nell'alveo democratico e laico.

Nel 1830, accusato di attività cospirativa, fu arrestato, a Savona, dalla polizia di Carlo Felice ma non essendo emerse prove a suo carico gli fu offerto o di vivere al "confino" in qualche sperduto borgo del regno sotto la sorveglianza della polizia o di andare in esilio a Marsiglia: egli decise per la seconda soluzione (1831). Grazie allo spirito profondamente religioso e alla dedizione verso lo studio degli avvenimenti storici, egli aveva compreso come solo una stato di tipo repubblicano avrebbe potuto permettere il raggiungimento degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità propri della Rivoluzione Francese. Per questo formulò il programma più radicale fra tutti quelli dibattuti nel corso del Rinascimento (non è un errore: molti dicevano rinascita o rinascimento invece di risorgimento) italiano e, fedele alle sue idee democratiche, avversò la formazione di uno stato monarchico.

Un capitolo interessante da esplorare è costituito dai rapporti di Mazzini e della sua Giovine Italia con i movimenti di opposizione diffusi in quegli anni. Nonostante fosse accolto nella I Associazione Internazionale dei Lavoratori come rappresentante dell'Italia - ma erano gli anni dell'esilio londinese - Mazzini non riuscì mai a comprendere la lotta di classe e ne fa prova il suo irriducibile antimarxismo e la sua continua opposizione ai movimenti socialisti (lotta contro la stessa I Internazionale e sconfessione della Comune); altrettanto problematici furono i rapporti con le società segrete guidate da Filippo Buonarroti che avevano la loro forza nel numero e nei legami con i gruppi contadini attratti dal programma collettivista. Mazzini tentò un'alleanza con i Buonarrotiani (1832), ma la loro lotta di classe ed il loro attaccamento all'Ottantanove francese produssero ben presto la rottura (1833) privando i mazziniani di ogni influenza sulle masse operaie e contadine.

Non potendo contare sull'aiuto di un sovrano, Mazzini si trovò nella necessità di cercare la propria base di azione nel popolo. Si dette così a fissare le linee programmatiche di un'associazione che affrontasse con spirito e mezzi nuovi il problema dell'indipendenza e dell'unità della patria. Nessuno più di lui era convinto che la Carboneria non potesse in alcun modo condurre il popolo italiano al suo riscatto a causa di alcuni gravi difetti, quali:
• la mancanza di un'azione unitaria e di visione nazionale del problema politico italiano;
• l'eccessiva fiducia nei sovrani locali e stranieri;
• l'incertezza nel programma (repubblicano? monarchico? federale?)
• la mancata diffusione di questo presso i più diversi strati sociali anche per mezzo della stampa;
• la conseguente assenza del popolo dai moti rivoluzionari;
• la presenza perlopiù di aristocratici, intellettuali, ricchi borghesi o ufficiali dell'esercito decisi a costruire, anche dopo la vittoria, una classe privilegiata cui avrebbe dovuto essere affidata, la direzione dello Stato.

Ecco perché, secondo Mazzini era giunto il momento di dire e di fare qualcosa di nuovo, rivolgendosi non soltanto ad un ristretto numero di persone, bensì a tutti gli italiani attraverso programmi chiaramente espressi e resi di pubblica ragione.
E' sulla base di queste convinzioni che Mazzini nel luglio del 1831 creava a Marsiglia la Giovine Italia: "giovine" perché destinata a fondarsi soprattutto sull'entusiasmo rivoluzionario dei giovani e non più sui sottili calcoli politici delle vecchie generazioni; "Italia" perché espressione di un movimento unitario a base nazionale, interprete dei bisogni e delle speranze di tutta la penisola. La nuova associazione doveva inoltre ispirarsi a principi "repubblicani" perché:

• "tutti gli uomini di una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell'umanità, ad essere uguali e fratelli";
• "l'istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire";
• "l'esistenza di un re vizia l'uguaglianza dei cittadini e minaccia la libertà di un paese" in quanto lascia che al vertice della scala sociale qualcuno goda di straordinari privilegi con grande pericolo per tutti gli altri;
• la sovranità risiede non già in un individuo, anche se nobile e valoroso, ma in tutto il popolo, la cui volontà discende direttamente da Dio ed è la sola capace di esprimere il volere divino negli ordinamenti di uno stato ("Dio e popolo"): sacro è perciò il suo sdegno, sacre sono le sue rivoluzioni contro quanti pretendono di soffocare la libertà;

Di qui il programma politico spirituale, che Mazzini attraverso la nuova associazione desiderava realizzare e che si può così sintetizzare:
1. provvedere all'educazione e alla formazione di una nuova coscienza popolare quale indispensabile premessa di ogni azione.
• La Giovine Italia si definiva "associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno", e perciò era necessario che il suo programma venisse diffuso il più ampliamente possibile, venisse "gridato dai tetti", affinchè esso fosse chiaro in tutti i suoi punti.
• La clandestinità, della quale le precedenti sette si compiacevano, rimaneva ovviamente necessaria per gli aspetti organizzativi dell'associazione, per i nomi degli aderenti, ma doveva cessare completamente per quanto riguarda appunto i propositi e i fini della Giovine Italia.
• L'importanza attribuita all'educazione non deve far pensare a un atteggiamento accademico e libresco, perché al contrario la formula mazziniana "pensiero e azione" mira appunto a

1) sottolineare il legame fra la maturazione morale e l'impegno nella lotta, condannando ad un tempo ogni cultura puramente intellettualistica.
2) fare dell'Italia con una "rivoluzione di popolo" una nazione saldamente unita, indipendente dallo straniero, libera nei suoi ordinamenti e sovrana, padrona cioè di sé e del suo destino;
3) fondare una repubblica democratica basata sul suffragio universale, in quanto solo il popolo, senza distinzione di classe, di ricchezza o di religione, è sovrano e ha quindi diritto di autogovernarsi;
4) lottare per un sistema sociale migliore sulla base di una più giusta distribuzione delle ricchezze; 5.rinnegare il predominio di una nazione sull'altra e contribuire invece al pacifico progresso di tutta l'umanità.

Se la precedente azione era fallita, ciò si doveva, secondo Mazzini, anche alla mancanza di un'intima ispirazione religiosa, alla fiducia ancora accordata ai principi, all'aver creduto nel valore delle costituzioni piuttosto che nell'azione creativa del popolo, la sola capace di costruire un edificio duraturo.
Religiosità, democrazia e nazione sono per il Mazzini una cosa sola:
- senza la fede in un principio superiore, in un Dio di verità e di giustizia, che per lui non si identifica con quello della tradizionale religione, gli italiani avrebbero continuato ad occuparsi del proprio interesse particolare e non avrebbero sentito nascere in se stessi quel sentimento di solidarietà e di dignità che è necessario per una rinascita;
- senza un regime di piena democrazia repubblicana, essi sarebbero rimasti dei semplici oggetti di storia, succubi degli stranieri o dei tiranni e principi locali;
-
infine, senza religione e senza democrazia non ci può essere nazione, quando anche si sia conseguita l'indipendenza territoriale, perché la nazione non si identifica con l'unità etnica o con le tradizioni comuni, ma si fonda invece sull'unità dei propositi che si possono pienamente manifestare solo grazie alla conquista di un regime di completa libertà.

In sintesi: "Dio e popolo" significa appunto che Dio si manifesta attraverso il popolo; significa che la nazione deve considerarsi come "un'operaia al servizio di Dio", cioè al servizio dell'Umanità.
Come ogni singolo ha un proprio dovere da compiere, così ogni nazione ha una propria missione.

Mazzini assegna all'Italia quella di farsi ispiratrice del movimento di liberazione di tutti i popoli europei: non un primato di potenza politico-militare, ma piuttosto una vocazione di solidarietà e di libertà: in questo senso egli poteva dire di amare la propria patria in quanto amava tutte le patrie, e fondava nel 1834 la "GIOVINE EUROPA", (diramata in quattro organizzazioni locali: la "Giovine Germania", la "Giovine Polonia", la "Giovine Italia", la "Giovine Svizzera") al fine di condurre tutti i popoli all'insurrezione liberatrice, dopo la quale, rovesciati i governi, riconoscersi come fratelli.

La presenza di Mazzini - che sul piano dei fatti fu in un certo senso il grande sconfitto del Risorgimento - fu essenziale e determinante per la realtà italiana, infatti egli non seppe solo creare una coscienza di "popolo" e di "patria" presso tutte le classi sociali, ma seppe anche essere nei paesi europei il simbolo stesso del nostro Risorgimento e dell'assoluta necessità di dare ai problemi italiani una soluzione adeguata.

La propaganda mazziniana ebbe ampia diffusione in Toscana, negli Abruzzi, in Sicilia, ma soprattutto in Piemonte e in Liguria, dove raccolse vaste adesioni, specialmente negli ambiti militari degli ufficiali inferiori e dei sottoufficiali. Appunto in queste ultime regioni, che gli erano meglio note, il Mazzini avviò nel 1833 il suo primo tentativo insurrezionale, che avrebbe dovuto trovare i suoi centri di iniziativa a Chambèry, Torino, Alessandria e Genova.
La stessa vastità della congiura e i metodi assai più aperti della "Giovine Italia" permisero però al governo sabaudo di venirne a conoscenza ancora prima che essa venisse attuata, e poichè Carlo Alberto si vide minacciato proprio dalla fedeltà dell'esercito, che secondo tradizione doveva essere strumento fedele della politica regia, la repressione fu spietata e feroce: ventisette condanne a morte, di cui dodici eseguite; un centinaio di condanne a pene carcerarie di diversa entità; numerosissimi esili, volontari o obbligatori.

L'amico più caro del Mazzini, Jacopo Ruffini, capo della "Giovine Italia" di Genova e lì arrestato, per sottrarsi alla violenza degli interrogatori, ai quali non tutti riuscivano a resistere, si diede la morte. Queste vittime, e specialmente il ricordo del Ruffini, pesarono a lungo nell'animo di Mazzini, il quale, alcuni anni dopo, verrà assalito dal dubbio di averle sacrificate inutilmente ad un'idea orgogliosa ed arbitraria.

Intanto la "tempesta del dubbio" (che del resto fu superata in considerazione del significato religioso o della missione cui egli si era impegnato) non interruppe l'attività del Mazzini.
Nel 1834 l'insurrezione, fallita l'anno prima, venne ripresa: dalla Svizzera un gruppo di italiani avrebbe dovuto penetrare in Savoia ed appiccare l'incendio della ribellione; da Genova il segnale della rivolta sarebbe stato dato da Giuseppe Garibaldi, neo ardente affiliato della "Giovine Italia", che si era arruolato nella marina sarda appunto allo scopo di diffondervi le nuove idee repubblicane e patriottiche.
A capo delle colonne provenienti dalla Svizzera fu posto un reduce dell'insurrezione polacca del 1830-31, Girolamo Ramorino, il quale in questa occasione diede pessima prova, guidando la spedizione senza entusiasmo, dopo aver sperperato i fondi di cui disponeva. Un gruppo venne fermato dalle truppe svizzere prima ancora di aver varcato i confini del Regno di Sardegna; altre due schiere, non sostenute dalle popolazioni, furono facilmente disperse dalle pattuglie di Carlo Alberto. Altrettanto negativi furono altri tentativi di insurrezione della "Giovine Italia" in Sicilia, negli Abruzzi, in Toscana e nel Lombardo-Veneto.

Evidentemente Mazzini chiedeva al popolo italiano più di quanto esso fosse preparato a dargli e ciò lo pose in uno stato di profonda amarezza e di grande sconforto, che si protrasse dal 1835 al 1840. Gli fu spiritualmente accanto la madre che lo incitò a proseguire fino in fondo tanto che Mazzini infaticabile fondò appunto la "Giovine Europa" (il progetto era tuttavia troppo ambizioso perché potesse dare frutti concreti) e organizzò a Bologna nel 1843 un altro moto che fece appuntare su di essa l'attenzione su due giovani ufficiali della marina austriaca recentemente convertiti al mazziniasesimo: Attilio ed Emilio Bandiera.

Purtroppo anche questo moto ebbe esito negativo. Unico momento esaltante dopo tanti insuccessi fu per Mazzini l'esperienza della Repubblica Romana del 1849, subito però seguito da nuovi cocenti insuccessi, come quelli subiti a Mantova nel 1852, che comportò nove condanne a morte, e nel 1853 a Milano, che offrì al governo austriaco l'occasione per sequestrare i beni dei patrioti lombardi emigrati in Piemonte.

La situazione precipitò nel fallito tentativo di Carlo Pisacane nel 1857.
Dopo l'unificazione della penisola sotto la direzione dei Savoia la personalità di Mazzini ebbe sempre meno rilievo ed egli visse circondato solo da pochi amici fino al 1872, anno della sua morte. A questo punto ci si chiede il motivo di tutti questi insuccessi nonostante tanta attività.
La soluzione deve essere ricercata nel suo programma.
Tutto preso come era dall'ideale di nazione, egli non comprese sufficientemente il proprio popolo formato dalla grande massa dei contadini e dalla emergente borghesia. Ai primi non presentò una soluzione del problema agrario fondata su una più giusta spartizione delle terre, mentre ai secondi non seppe offrire quelle garanzie di progresso e stabilità che l'azione di Casa Savoia sembrava potesse assicurare specialmente dopo l'eliminazione delle classi feudali.

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